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Processo Expo, scintille in udienza sul rapporto Maroni-Paturzo


Volano carte processuali e si alza la voce all'udienza del processo che vede tra gli imputati il governatore lombardo Roberto Maroni (assente il 20 ottobre in aula,ndr), accusato di induzione indebita e turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente rispetto alle presunte pressioni per far ottenere un lavoro e un viaggio a Tokyo a due sue ex collaboratrici, Maria Grazia Paturzo e Mara Carluccio.
È un processo delicato anche perché, in caso di condanna del governatore, scatterebbe la mannaia della legge Severino.
LE INDAGINI DEL MARESCIALLO. Difeso dall'avvocato Domenico Aiello, Maroni è stato citato più volte nell'aula della quarta sezione penale presieduta da Maria Teresa Guadagnino, in particolare per i rapporti che avrebbe avuto con la Paturzo nel 2013, quando la donna si dimise da Enel dove aveva un contratto a tempo indeterminato, per poi essere assunta da Expo 2015.
Il contratto di lavoro della Paturzo non è più tra le imputazioni del processo, ma resta quello della Carluccio in Eupolis e soprattutto il viaggio a Tokyo che poi non fu fatto dalla delegazione del presidente di regione Lombardia.
Il pm Eugenio Fusco ha infatti chiamato come teste dell'accusa Giuseppe Di Venere, maresciallo che ha svolto le indagini anche nel processo Finmeccanica quando era in forza al Noe, mentre ora lavora al Rud, Raggruppamento Unità Difesa in supporto ai nostri servizi segreti Aisi e Aise.
LE PROTESTE DELLA DIFESA. La testimonianza ha scatenato le proteste degli avvocati della difesa, in particolare di Aiello, che ha più volte interrotto il testimone sollevando diverse eccezioni procedurali. Tra cui quella di non aver avuto a disposizione le intercettazioni al centro della testimonianza.
Dettaglio, quest'ultimo, ribattuto dallo stesso Fusco che, prima di ogni domanda, ha sempre specificato le pagine dei documenti già depositati nel corso dell'inchiesta.
Fusco e Aiello si sono comunque scontrati pià volte, con il primo che ha spesso cercato di placare gli animi del legale di Maroni, ricordandogli che il processo «è una partita a scacchi» mentre il secondo ha persino lanciato in maniera stizzita una risma di documenti sul tavolo del procuratore.
Di Venere ha raccontato come nel corso delle indagini, analizzando i documenti trovati nella posta elettronica della Paturzo, sia emerso il modo in cui la la donna avrebbe ottenuto il contratto di lavoro da temporary manager con Expo.
PATURZO GIRÒ IL CONTRATTO A MARONI. Dopo le promesse da parte dell'allora direttore generale di Regione Lombardia Andrea Gibelli, oggi presidente di Ferrovie Nord Milano, si sarebbe lamentata in prima persona poi con lo stesso Maroni perché il contratto non corrispondeva a quanto stabilito.
Doveva essere un biennale, per una cifra di 65 mila euro annui, ma invece fu di soli sei mesi.
«Ma comunque di 32,500 euro, esattamente la metà di quanto era stato stabilito», ha spiegato Di Venere.
Il maresciallo poi ha aggiunto che proprio la Paturzo, non appena ricevuta la bozza contrattuale, «l'aveva girata subito a Maroni via email sulla posta privata del governatore lamentandosene. E infine solo dopo aver ricevuto rassicurazioni dal segretario Giacomo Ciriello firmò il contratto».
UN'ORA NELLA CASA DEL GOVERNATORE. Di Venere ha anche spiegato i pedinamenti effettuati a Roma quando la collaboratrice del governatore già lavorava nella sede distaccata di regione Lombardia in via del Gesù. E ha raccontato, allegando alcune foto, di quando la donna visitò la mattina del 22 gennaio del 2014 «la casa di Maroni in via XX settembre fermandosi per un'ora».
Fusco ha spiegato subito di non voler fare domande sui rapporti tra la Paturzo e Maroni, già emersi in chiusura delle indagini, cioè sulla presunta relazione sentimentale tra i due.
Ma il pm ha pure approfondito con l'investigatore i viaggi fatti durante il Wet, il World Expo Tour, un'iniziativa nata all'epoca per far conoscere Expo 2015 nel mondo. Di Venere ha raccontato di come in regione «si cercasse di trovare il modo di pagare questi viaggi che poi furono sovvenzionati da Promos, società della Camera di Commercio di Milano, anche se era stata contattata pure la Camera di Commercio di Varese e c'era chi aveva pensato di creare un fondo ad hoc in regione».
Giuseppe Sala, all'epoca numero uno di Expo 2015, si era infatti rifiutato di pagare ogni tipo di spesa. 

lettera43.it

La Sicilia all'Expo, Regione morosa. E scatta il pignoramento

La stangata è arrivata, puntuale, con un atto del tribunale di Milano di fine settembre. Scatta un maxi pignoramento per la Regione che non paga i debiti dell'Expo 2015. Il giudice blocca 815 mila euro, congela «somme e titoli di qualsiasi natura» per quell'importo che l'amministrazione detiene nella cassa del tesoriere Unicredit. La procedura esecutiva è stata chiesta e ottenuta dalla Manpower, la multinazionale che ha fornito il personale al lavoro nel padiglione del bio-mediterraneo. Palazzo d'Orleans rimedia un'altra figuraccia, l'ennesima, in una vicenda che è diventata una grana internazionale.

Rimane ferma, a distanza di quasi un anno dalla fine dell'Expo, l'intera spesa (circa 2,5 milioni di euro) necessaria al saldo dei fornitori. Prima, a impedire i pagamenti, erano stati i dubbi di un comitato istituito dalla Presidenza sulle procedure burocratiche utilizzate dal commissario unico del bio-cluster, Dario Cartabellotta. La situazione sembrava si fosse sbloccata all'inizio dell'estate, con la predisposizione di un disegno di legge che riconosce un debito fuori bilancio proprio per chiudere la pratica Expo. Ma il provvedimento, approvato dalla giunta a fine luglio, giace in commissione Finanze all'Ars. E, in uno scenario che ha dei risvolti paradossali (perché la Regione i soldi ce li avrebbe, visto che Cartabellotta ha dichiarato incassi per 2,7 milioni), continua a montare la rabbia dei creditori.

Manpower, società che ha la sede centrale a Milwaukee, nel Wisconsin, si è mossa per prima ed ha ottenuto il pignoramento: i rappresentanti della Regione dovranno costituirsi in un'udienza fissata a Palermo il 7 novembre. Ma aumenta il numero delle imprese che, nel frattempo, hanno presentato decreti ingiuntivi nei confronti delle amministrazione. Sono quattro quelle che l'hanno fatto da agosto a oggi, cioé da quando il ddl del governo Crocetta è sbarcato all'Ars. Nell'ultimo elenco c'è la Holdis Italia, che reclama circa 30 mila euro per il pagamento dei canoni d'affitto degli appartamenti di Milano nei quali hanno vissuto delegati e ospiti della Regione. Poi c'è la società "Marranzano" di Riposto, che nei sei mesi dell'Expo ha fatto arrivare sotto l'albero della vita trentamila fra cannoli surgelati, scorze di cannoli e arancine. Importo richiesto: 100 mila euro. Quindi altri due decreti ingiuntivi per cifre minori: uno da parte della società d'assicurazione Groupama (2.200 euro) e un altro (2 mila euro) dalla pasticceria Costa di Palermo.

Nella lista, già da prima, c'erano le imprese dei settori più svariati: dall'agenzia di viaggi Sullivan di Palermo (63 mila euro) alla Bell Production, altra multinazionale che ha fornito i computer e che ha un credito di 13 mila euro. Dagli alberghi milanesi Zurigo (4.485 euro) e Carlyle (1.503) al "Birrificio 24 Baroni" di Nicosia (tremila euro). Dalla casa editrice Sicinform dell'ex presidente del Cerisdi Salvatore Parlagreco (10 mila euro) all'azienda trentina Le Nappage, che produce stovaglie in plastica (7.500 euro). Tutte queste imprese, di qui a poco, potrebbero ottennere i pignoramenti.

I
 ritardi della Regione e dell'Ars rischiano di appesantire notevolmente i conti. Basti pensare che il debito della Manpower, ad aprile, ammontava a mezzo milione di euro. Fra interessi e spese legali, è cresciuto sino a 815 mila euro. E stessa sorte sono destinati ad avere gli altri debiti che la Regione non riesce a pagare. Un'emorragia di denaro che debilita un'amministrrazione che sta tentando con difficoltà di rimettere in sesto i propri conti.
repubblica.it

Un Airone e non solo lui vive a Expo

Dalle risaie della campagna milanese, una colonia di aironi cenerini si è installata nel sito di Expo. L’airone cenerino ama gli habitat con acque basse, ricche di prede. I canali artificiali costruiti per l’esposizione sembrano fatti per lui: «Dopo circa due anni - racconta Paolo Galli, ecologo dell’Università Bicocca - i muri di cemento armato si stanno riempiendo di canneti e tifeti». La casa ideale per questi volatili: i tifeti sono piante acquatiche caratterizzate da spighe cilindriche marroni lunghe fino a 30 centimetri (infiorescenze composte da moltissimi «pelucchi», che un tempo venivano usati per imbottire i materassi). Si aggiungono poi molti specchi d’acqua ricoperti da piante di ninfee in fiore, tra le cui foglie è possibile osservare carpe anche di grandi dimensioni. Sono arrivati (anche) gli aironi, dunque e gli studiosi stanno analizzando il fenomeno: anche perché un contesto artificiale come quello dell’area Expo è lentamente diventato semi-naturale e si è creato una sorta di «corridoio ecologico» che mette in collegamento spazi e parchi. Questa specie si nutre di pesci, rane, girini, bisce d’aqua, crostacei e molluschi. Cacciano sia di giorno che di notte, spostandosi anche decine di chilometri dal luogo di nidificazione o dal dormitorio. Da adulto, l’airone può raggiungere una statura di 98 centimetri e un’apertura alare di quasi 2 metri: il piumaggio è di colore grigio nella parte superiore, bianco in quella inferiore, le gambe e il becco sono gialle. «Nei canali, gli aironi cenerini trovano cibo in quantità, anche nella stagione fredda, quando il bisogno energetico è superiore», dice Giovanni Gottardi, naturalista. «Sono animali che vanno dove c’è cibo e nel momento della stagione della caccia il sito Expo è un perfetto rifugio. Non è detto che qui abbiano già cominciato a nidificare perché fanno anche molti chilometri dal luogo in cui hanno il nido a quello dove si procurano il cibo». Le specie ospitate in Expo non finiscono qui. Tra i canneti si rifugiano diversi germani reali, arrivati probabilmente dalle aree lacustri circostanti: al primo segnale di pericolo iniziano a volare, rimanendo in prossimità dell’alveo, riconoscendolo come area più sicura di altre. «Anche negli specchi d’acqua, che fiancheggiavano le aree di ristoro di Expo c’è un brulicare di vita», aggiunge Paolo Galli: «Basta avvicinarsi per vedere sul pelo dell’acqua gli insetti pattinatori, animali che devono il loro nome alla capacità di scivolare sull’acqua, «poggiando solo i tarsi delle zampe medie e posteriori». Il progetto di Expo 2015 puntava molto sul concetto dell’acqua e sulla valorizzazione di corsi e canali: le Vie d’Acqua dovevano avere una valenza tematica e storia capace di mandare messaggi, quali la salvaguardia di questa risorsa come bene comune, la sua tutela come diritto universale. In un certo senso si sarebbe cercato di ricucire il legame storico di Milano con l’acqua: sulla memoria dei Navigli, delle chiuse leonardesche, della Darsena come porto della città. Per la natura, invece, le Vie d’Acqua rappresentano dei corridoi naturali in grado di collegare tra loro ambienti ancora conservati e di facilitare la comunicazione tra i diversi parchi. In queste aree un tempo occupate da impianti di produzione industriale la vita di flora e fauna ha iniziato a riprendersi i propri spazi.
corriere.it

L’eccellenza di Expo non finisce mai: condannata la Presidente di Expo 2015 spa Diana Bracco

Oh, finalmente. Ora anche la Presidente di Expo 2015 spa (la società creata ad hoc dal governo per la gestione dell’evento fin dal 2008, governo Berlusconi) può fregiarsi del titolo di condannata a due anni di reclusione per i reati di appropriazione indebita e dichiarazione fraudolenta dei redditi attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Poca roba rispetto ai reati a cui ci abitua la nostra classe dirigente, per carità, ma si tratta comunque di un reato abbastanza odioso per chi avrebbe dovuto essere all’altezza di un ruolo di garanzia. La Bracco, tra l’altro, è stata anche commissario generale di sezione per il Padiglione Italia all’Expo 2015 e vicepresidente di Confindustria con delega per ricerca e innovazione. Basta? No. Nel curriculum c’è anche il cavalierato del lavoro (che Paese strano, dagli strani Cavalieri) nonché laureata honoris causa all’Università di Pavia, presidente di Assolombarda, nel consiglio di amministrazione dell’Università Bocconi di Milano più un’altra decina di ruoli spicci.
Eppure, la Bracco, non aveva ancora capito che le spese personali non andrebbero messe in carico all’azienda che si dirige e così tre milioncini di euro sono finiti per sbaglio dentro i bilanci della casa farmaceutica di cui porta il cognome: soldi che sono serviti a ristrutturarle la casa e tenere in ordine la barca. Così il giudice ha deciso per la condanna e l’interdizione dai pubblici uffici per un anno e 6 mesi. La presidente di Expo interdetta dai pubblici uffici è una notizia che andrebbe tradotta in tutte le lingue del mondo almeno per smontare la retorica. Sì, perché qui non si discute tanto della condanna in sé ma di come il manto celebrativo di Expo continui a prosperare nonostante gli arresti e le condanne di persone inserite in ruoli chiave sia per operatività che, come nel caso di Diana Bracco, di responsabilità rappresentativa.
Il tema qui è un altro: la continua riproposizione di una classe dirigente che viene celebrata senza giudizio, è protetta da una retorica utile al potere per raccontare che “tutto va ben” e appare inossidabile nonostante le colpe e gli errori. Così alla fine anche su Expo ha vinto la narrazione contro la realtà. E vedrete che tra qualche anno li celebreranno tutti. Tutti. Bracco inclusa.
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La Frode di Madame Expo

Conosciuta soprattutto per aver ricoperto il ruolo di presidente durante i mesi dell'Esposizione universale di Milano, è stata condannata a due anni di reclusione per un'evasione di oltre un milione di euro.
Due anni di reclusione per frode fiscale e appropriazione indebita. Questa la sentenza emessa mercoledì 19 ottobre dal Tribunale di Milano nei confronti di Diana Bracco, ex  vicepresidente di Confindustria ed ex presidente di Expo 2015 spa. Un’indagine iniziata il 2 luglio 2015 e portata avanti con caparbietà dal Pubblico Ministero di MilanoGiordano Baggio il quale aveva chiesto per l’industriale una condanna a un anno e tre mesi. Meno clemente il giudice della seconda sezione penale Giorgia Carbone che ha condannato la Bracco a 2 anni riconoscendole però le attenuanti, la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna.
DURO COLPO
Si tratta comunque di un duro colpo per questa imprenditrice, nonché amministratore delegato dell’omonimo gruppo Bracco, che aveva fatto negli anni della trasparenza e del duro lavoro uno dei suoi punti di forza. Milanese classe 1941, Diana Bracco si laureò in chimica all’Università di Pavia negli Anni ’60, per poi ricevere nel 2001, proprio da quel polo che aveva a lungo frequentato la laurea honoris causa in Farmacia il 14 febbraio del 2001. E questo è solo uno dei tanti riconoscimenti ricevuti da questa donna amante del lavoro, come la descrivono amici e dipendenti.
I RICONOSCIMENTI
Ma è nel 2002 che Diana Bracco ricevette il riconoscimento più importante per il suo impegno lavorativo. È di quell’anno la medaglia d’oro del Comune di Milano a cui seguì anche l’investitura a cavaliere del lavoro. Passano altri due anni e nel 2004 ricevette anche l’onorificenza dell’ordine al merito della Repubblica italiana.
IL LAVOROGià presidente della Fondazione Sodalitas per lo sviluppo dell’imprenditoria nel sociale dal 1995 al 2001, è soprattutto conosciuta per il ruolo di presidente della Fondazione Mai di Confindustria, della Fondazione Bracco e della Fondazione Milano per Expo 2015. Ma Diana Bracco non è stata solo quello dato che dal 2008, il prestigio e la passione per la musica, l’ha portata a essere scelta come membro del Cda della Filarmonica della Scala di Milano. L’ingresso nei consigli di amministrazione dell’Accademia della Scala e del Museo Poldi Pezzoli (avvenuto nel 2012) sono state le normali conseguenze di quello che Diana Bracco rappresentava e rappresenta per Milano e l’Italia intera.
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