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La Sicilia all'Expo, Regione morosa. E scatta il pignoramento

La stangata è arrivata, puntuale, con un atto del tribunale di Milano di fine settembre. Scatta un maxi pignoramento per la Regione che non paga i debiti dell'Expo 2015. Il giudice blocca 815 mila euro, congela «somme e titoli di qualsiasi natura» per quell'importo che l'amministrazione detiene nella cassa del tesoriere Unicredit. La procedura esecutiva è stata chiesta e ottenuta dalla Manpower, la multinazionale che ha fornito il personale al lavoro nel padiglione del bio-mediterraneo. Palazzo d'Orleans rimedia un'altra figuraccia, l'ennesima, in una vicenda che è diventata una grana internazionale.

Rimane ferma, a distanza di quasi un anno dalla fine dell'Expo, l'intera spesa (circa 2,5 milioni di euro) necessaria al saldo dei fornitori. Prima, a impedire i pagamenti, erano stati i dubbi di un comitato istituito dalla Presidenza sulle procedure burocratiche utilizzate dal commissario unico del bio-cluster, Dario Cartabellotta. La situazione sembrava si fosse sbloccata all'inizio dell'estate, con la predisposizione di un disegno di legge che riconosce un debito fuori bilancio proprio per chiudere la pratica Expo. Ma il provvedimento, approvato dalla giunta a fine luglio, giace in commissione Finanze all'Ars. E, in uno scenario che ha dei risvolti paradossali (perché la Regione i soldi ce li avrebbe, visto che Cartabellotta ha dichiarato incassi per 2,7 milioni), continua a montare la rabbia dei creditori.

Manpower, società che ha la sede centrale a Milwaukee, nel Wisconsin, si è mossa per prima ed ha ottenuto il pignoramento: i rappresentanti della Regione dovranno costituirsi in un'udienza fissata a Palermo il 7 novembre. Ma aumenta il numero delle imprese che, nel frattempo, hanno presentato decreti ingiuntivi nei confronti delle amministrazione. Sono quattro quelle che l'hanno fatto da agosto a oggi, cioé da quando il ddl del governo Crocetta è sbarcato all'Ars. Nell'ultimo elenco c'è la Holdis Italia, che reclama circa 30 mila euro per il pagamento dei canoni d'affitto degli appartamenti di Milano nei quali hanno vissuto delegati e ospiti della Regione. Poi c'è la società "Marranzano" di Riposto, che nei sei mesi dell'Expo ha fatto arrivare sotto l'albero della vita trentamila fra cannoli surgelati, scorze di cannoli e arancine. Importo richiesto: 100 mila euro. Quindi altri due decreti ingiuntivi per cifre minori: uno da parte della società d'assicurazione Groupama (2.200 euro) e un altro (2 mila euro) dalla pasticceria Costa di Palermo.

Nella lista, già da prima, c'erano le imprese dei settori più svariati: dall'agenzia di viaggi Sullivan di Palermo (63 mila euro) alla Bell Production, altra multinazionale che ha fornito i computer e che ha un credito di 13 mila euro. Dagli alberghi milanesi Zurigo (4.485 euro) e Carlyle (1.503) al "Birrificio 24 Baroni" di Nicosia (tremila euro). Dalla casa editrice Sicinform dell'ex presidente del Cerisdi Salvatore Parlagreco (10 mila euro) all'azienda trentina Le Nappage, che produce stovaglie in plastica (7.500 euro). Tutte queste imprese, di qui a poco, potrebbero ottennere i pignoramenti.

I
 ritardi della Regione e dell'Ars rischiano di appesantire notevolmente i conti. Basti pensare che il debito della Manpower, ad aprile, ammontava a mezzo milione di euro. Fra interessi e spese legali, è cresciuto sino a 815 mila euro. E stessa sorte sono destinati ad avere gli altri debiti che la Regione non riesce a pagare. Un'emorragia di denaro che debilita un'amministrrazione che sta tentando con difficoltà di rimettere in sesto i propri conti.
repubblica.it

Un Airone e non solo lui vive a Expo

Dalle risaie della campagna milanese, una colonia di aironi cenerini si è installata nel sito di Expo. L’airone cenerino ama gli habitat con acque basse, ricche di prede. I canali artificiali costruiti per l’esposizione sembrano fatti per lui: «Dopo circa due anni - racconta Paolo Galli, ecologo dell’Università Bicocca - i muri di cemento armato si stanno riempiendo di canneti e tifeti». La casa ideale per questi volatili: i tifeti sono piante acquatiche caratterizzate da spighe cilindriche marroni lunghe fino a 30 centimetri (infiorescenze composte da moltissimi «pelucchi», che un tempo venivano usati per imbottire i materassi). Si aggiungono poi molti specchi d’acqua ricoperti da piante di ninfee in fiore, tra le cui foglie è possibile osservare carpe anche di grandi dimensioni. Sono arrivati (anche) gli aironi, dunque e gli studiosi stanno analizzando il fenomeno: anche perché un contesto artificiale come quello dell’area Expo è lentamente diventato semi-naturale e si è creato una sorta di «corridoio ecologico» che mette in collegamento spazi e parchi. Questa specie si nutre di pesci, rane, girini, bisce d’aqua, crostacei e molluschi. Cacciano sia di giorno che di notte, spostandosi anche decine di chilometri dal luogo di nidificazione o dal dormitorio. Da adulto, l’airone può raggiungere una statura di 98 centimetri e un’apertura alare di quasi 2 metri: il piumaggio è di colore grigio nella parte superiore, bianco in quella inferiore, le gambe e il becco sono gialle. «Nei canali, gli aironi cenerini trovano cibo in quantità, anche nella stagione fredda, quando il bisogno energetico è superiore», dice Giovanni Gottardi, naturalista. «Sono animali che vanno dove c’è cibo e nel momento della stagione della caccia il sito Expo è un perfetto rifugio. Non è detto che qui abbiano già cominciato a nidificare perché fanno anche molti chilometri dal luogo in cui hanno il nido a quello dove si procurano il cibo». Le specie ospitate in Expo non finiscono qui. Tra i canneti si rifugiano diversi germani reali, arrivati probabilmente dalle aree lacustri circostanti: al primo segnale di pericolo iniziano a volare, rimanendo in prossimità dell’alveo, riconoscendolo come area più sicura di altre. «Anche negli specchi d’acqua, che fiancheggiavano le aree di ristoro di Expo c’è un brulicare di vita», aggiunge Paolo Galli: «Basta avvicinarsi per vedere sul pelo dell’acqua gli insetti pattinatori, animali che devono il loro nome alla capacità di scivolare sull’acqua, «poggiando solo i tarsi delle zampe medie e posteriori». Il progetto di Expo 2015 puntava molto sul concetto dell’acqua e sulla valorizzazione di corsi e canali: le Vie d’Acqua dovevano avere una valenza tematica e storia capace di mandare messaggi, quali la salvaguardia di questa risorsa come bene comune, la sua tutela come diritto universale. In un certo senso si sarebbe cercato di ricucire il legame storico di Milano con l’acqua: sulla memoria dei Navigli, delle chiuse leonardesche, della Darsena come porto della città. Per la natura, invece, le Vie d’Acqua rappresentano dei corridoi naturali in grado di collegare tra loro ambienti ancora conservati e di facilitare la comunicazione tra i diversi parchi. In queste aree un tempo occupate da impianti di produzione industriale la vita di flora e fauna ha iniziato a riprendersi i propri spazi.
corriere.it

L’eccellenza di Expo non finisce mai: condannata la Presidente di Expo 2015 spa Diana Bracco

Oh, finalmente. Ora anche la Presidente di Expo 2015 spa (la società creata ad hoc dal governo per la gestione dell’evento fin dal 2008, governo Berlusconi) può fregiarsi del titolo di condannata a due anni di reclusione per i reati di appropriazione indebita e dichiarazione fraudolenta dei redditi attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Poca roba rispetto ai reati a cui ci abitua la nostra classe dirigente, per carità, ma si tratta comunque di un reato abbastanza odioso per chi avrebbe dovuto essere all’altezza di un ruolo di garanzia. La Bracco, tra l’altro, è stata anche commissario generale di sezione per il Padiglione Italia all’Expo 2015 e vicepresidente di Confindustria con delega per ricerca e innovazione. Basta? No. Nel curriculum c’è anche il cavalierato del lavoro (che Paese strano, dagli strani Cavalieri) nonché laureata honoris causa all’Università di Pavia, presidente di Assolombarda, nel consiglio di amministrazione dell’Università Bocconi di Milano più un’altra decina di ruoli spicci.
Eppure, la Bracco, non aveva ancora capito che le spese personali non andrebbero messe in carico all’azienda che si dirige e così tre milioncini di euro sono finiti per sbaglio dentro i bilanci della casa farmaceutica di cui porta il cognome: soldi che sono serviti a ristrutturarle la casa e tenere in ordine la barca. Così il giudice ha deciso per la condanna e l’interdizione dai pubblici uffici per un anno e 6 mesi. La presidente di Expo interdetta dai pubblici uffici è una notizia che andrebbe tradotta in tutte le lingue del mondo almeno per smontare la retorica. Sì, perché qui non si discute tanto della condanna in sé ma di come il manto celebrativo di Expo continui a prosperare nonostante gli arresti e le condanne di persone inserite in ruoli chiave sia per operatività che, come nel caso di Diana Bracco, di responsabilità rappresentativa.
Il tema qui è un altro: la continua riproposizione di una classe dirigente che viene celebrata senza giudizio, è protetta da una retorica utile al potere per raccontare che “tutto va ben” e appare inossidabile nonostante le colpe e gli errori. Così alla fine anche su Expo ha vinto la narrazione contro la realtà. E vedrete che tra qualche anno li celebreranno tutti. Tutti. Bracco inclusa.
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La Frode di Madame Expo

Conosciuta soprattutto per aver ricoperto il ruolo di presidente durante i mesi dell'Esposizione universale di Milano, è stata condannata a due anni di reclusione per un'evasione di oltre un milione di euro.
Due anni di reclusione per frode fiscale e appropriazione indebita. Questa la sentenza emessa mercoledì 19 ottobre dal Tribunale di Milano nei confronti di Diana Bracco, ex  vicepresidente di Confindustria ed ex presidente di Expo 2015 spa. Un’indagine iniziata il 2 luglio 2015 e portata avanti con caparbietà dal Pubblico Ministero di MilanoGiordano Baggio il quale aveva chiesto per l’industriale una condanna a un anno e tre mesi. Meno clemente il giudice della seconda sezione penale Giorgia Carbone che ha condannato la Bracco a 2 anni riconoscendole però le attenuanti, la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna.
DURO COLPO
Si tratta comunque di un duro colpo per questa imprenditrice, nonché amministratore delegato dell’omonimo gruppo Bracco, che aveva fatto negli anni della trasparenza e del duro lavoro uno dei suoi punti di forza. Milanese classe 1941, Diana Bracco si laureò in chimica all’Università di Pavia negli Anni ’60, per poi ricevere nel 2001, proprio da quel polo che aveva a lungo frequentato la laurea honoris causa in Farmacia il 14 febbraio del 2001. E questo è solo uno dei tanti riconoscimenti ricevuti da questa donna amante del lavoro, come la descrivono amici e dipendenti.
I RICONOSCIMENTI
Ma è nel 2002 che Diana Bracco ricevette il riconoscimento più importante per il suo impegno lavorativo. È di quell’anno la medaglia d’oro del Comune di Milano a cui seguì anche l’investitura a cavaliere del lavoro. Passano altri due anni e nel 2004 ricevette anche l’onorificenza dell’ordine al merito della Repubblica italiana.
IL LAVOROGià presidente della Fondazione Sodalitas per lo sviluppo dell’imprenditoria nel sociale dal 1995 al 2001, è soprattutto conosciuta per il ruolo di presidente della Fondazione Mai di Confindustria, della Fondazione Bracco e della Fondazione Milano per Expo 2015. Ma Diana Bracco non è stata solo quello dato che dal 2008, il prestigio e la passione per la musica, l’ha portata a essere scelta come membro del Cda della Filarmonica della Scala di Milano. L’ingresso nei consigli di amministrazione dell’Accademia della Scala e del Museo Poldi Pezzoli (avvenuto nel 2012) sono state le normali conseguenze di quello che Diana Bracco rappresentava e rappresenta per Milano e l’Italia intera.
letteradonna.it

Treviso, i russi non pagano il padiglione Expo e lʼazienda che ha svolto i lavori fallisce

Dalle stelle alle stalle, come si suol dire. E' quello che è successo all'azienda Sech Costruzioni Metalliche Spa di Refrontolo, in provincia di Treviso. Dopo oltre quarant'anni l'attività chiude: il 17 ottobre, infatti, è arrivata al proprietario Alessandro Cesca la sentenza del Tribunale di Treviso che accoglie l'istanza dei fornitori e decreta il fallimento. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata Expo 2015: la società era incaricata di costruire il cantiere del padiglione della Russia, ma quei lavori pari a 400 mila euro non sono mai stati pagati. E' passato circa un anno e mezzo da quando Cesca si congratulava con i suoi dipendenti per aver finito prima del tempo il padiglione della Russia. Era un lavoro importante portato a termine, così come lo sono stati gli altri loro successi: i tornelli dello stadio di San Siro a Milano, il museo del tappeto a Baku, Ajerbaijan, e la stazione di Porta Susa a Torino. Nel 2013, la Sech Costruzioni aveva anche comprato il capannone della Indesit, un'altra azienda della zona fallita, e assunto alcuni suoi dipendenti. In quest'anno e mezzo Cesca ha lottato tanto per riavere quei 400mila euro mai riscossi, quelli che hanno aperto la crisi di liquidità e che, quindi, hanno portato al crac. Il caos si è venuto a creare perchè le due società che gestivano la partecipazione della Russia all'Esposizione Universale - Rvs Holding Srl, committente del lavoro, e RT-Expo Srl - avevano segnalato alcune non conformità al termine dei lavori. Non conformità mai riscontrate dal Ctu del Tribunale di Milano. "Nessuno ci ha aiutati, e si è innescata la catena che sta portando alla distruzione di tutto il nostro sistema di imprese: i clienti non mi pagano, io non riesco a pagare i fornitori. Può capitare a tutti, è la fine del Nordest", ha affermato Cesca a La Stampa. Anche altre otto imprese italiane sono state coinvolte nell'affair: qualcuna si è accontentata di avere solo il 20-30% dell'importo, mentre altri hanno fatto causa alla Russia, come la Sech. Tuttavia, la prima sentenza sarà a dicembre, quando la ditta sarà probabilmente smantellata del tutto. "Ci siamo ritrovati a lottare contro tutto e tutti. Nessuno del mondo della politica si è adoperato per darci una mano, figuratevi cosa possiamo fare noi contro un gigante come la Russia - ha dichiarato il titolare sempre al quotidiano torinese - Sì, ci sarà una sentenza tra un paio di mesi, ma anche se fosse favorevole, credete che quei soldi li riavremo? Intanto io sono stato costretto a chiudere tutto, gli operai sono a casa e nessuno di noi sa cosa farà".
tgcom24